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IL NUDO, TRA SEDUZIONE E PROVOCAZIONE: Kouros presenta Giulio Mastrangelo, l’artista che mette a nudo l’anima…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nell’ambito della collettiva “Il Nudo: tra seduzione e provocazione” ospitata a Firenze presso Simultanea Spazi d’arte dal 26 Settembre al 7 Ottobre, l’Associazione Kouros è lieta di presentare Giulio Mastrangelo, fotografo romano presente in  mostra con due nudi, estremamente emblematici nella loro dinamicità…

 

Giulio permettici di conoscerti meglio.. Come si origina in te questa passione per la fotografia e cosa rappresenta?

 

In modo del tutto casuale come il vero amore! La fotografia è un mezzo di espressione che non homai considerato seriamente nonostante il mio grande interesse per l’Arte in assoluto trasmessomi dal mio adorato nonno materno.

Provengo da una lunga discendenza di musicisti, in particolar modo da parte di mio padre, di conseguenza ho studiato musica per dodici anni rendendola una professione (nei limiti imposti da questo paese…) per tre anni.

L’incontro con la fotografia è avvenuto ai tempi del liceo quando, perdutamente innamorato della più bella della scuola, che è ora la mia attuale compagna, la quale faceva la fotomodella per guadagnare il necessario, la seguivo nei vari shooting.

Un giorno, avendo un po’ di soldi da parte e in fase di sperimentazioni espressive, decisi di regalarmi la mia prima reflex, e fu amore a prima vista! Ne sono rimasto affascinato anche come oggetto in sé oltre alle possibilità di espressione.

In quel periodo era in atto in me un grande cambiamento interiore. La vita e l’immagine di me come musicista cominciò a starmi stretta vuoi per il peso dell’eredità familiare o per il mio carattere stanziale, si insinuò in me l’idea della ricerca di qualcosa che fosse la vera espressione del mio Io, qualcosa di nuovo, senza l’induzione da parte di niente e nessuno.

Arrivò così il momento decisivo in cui mi trovai costretto a scegliere se continuare per tutta la vitaa fare quello che già facevo o ricominciare e industriarmi per esplorare tutte le mie qualità. Scelsi la seconda!

La fotografia fu la mia zattera di salvataggio perché era ed è ancora l’unica cosa che pratico senza obblighi e scadenze, quindi libero.

Così cominciai ad appassionarmi e a studiare seriamente sia la tecnica che la storia della fotografia. In breve passai dai grandi fotografi del National Geographic, che leggevo già da bambino, ai capisaldi della fotografia internazionale: H.C. Bresson, Breton, Manray, ecc… (in ultimo coloro che mi hanno aperto una via che non pensavo mi appartenesse e non posso non citare per rispetto, Antoine D’Agata, Karin Székessy,Jan Saudek ).

Riaffiorò in me con particolare attenzione, l’interesse per la pittura, che è la mia principale fonte di ispirazione (F.Bacon; M. Rotcko; E.Hopper; E. Schile) che come già detto mi è stata trasmessa da mio nonno materno che oltre ad essere un noto drammaturgo è anche critico d’arte e collezionista di Espressionismo tedesco.

Nel tempo sono riuscito, per mia fortuna, a mantenere l’aspetto autodidatta che trovo fondamentale nella mia ricerca estetica.

Se all’inizio la fotografia era una zattera sulla quale galleggiare nelle tumultuose acque del mio Io, ora è la zavorra (nel senso migliore del termine) che mi permette di andare in profondità negli abissi del mio Sé.

 

In una società come quella attuale in cui si fa un uso ormai smisurato della fotografia, divenuta ormai alla portata di tutti, come si fa ad emozionare ancora lo spettatore, a stupirlo e sorprenderlo, creando qualcosa di originale?

 

Questo è un tema sul quale mi arrovello molto ultimamente, soprattutto mi chiedo, quando ultimo un’opera, se viene percepita la differenza di spessore che c’è dietro a quell’immagine, dovuta alle ore di lavoro sia antecedentemente allo scatto, che in fase di ripresa e in post-produzione, rispetto all’ennesimo bel tramonto, o chi per esso, che raccoglie migliaia di “Like” sui social network. Credo che questo sia un tema fondamentale per chi vuole fare Arte oggi perché, per quanto io sia un irriducibile nostalgico dei tempi che furono in cui i “maestri d’arti” si incontravano nelle Agorà, nelle botteghe o nei caffè che rappresentavano i campi di prova in cui gli artisti potevano confrontarsi, ora quegli stessi luoghi sono rappresentati dal WEB che inevitabilmente per sua natura, tende a massificare ogni cosa portando tutto a livello mondiale che sicuramente da un lato è un vantaggio ma dall’altro ha concesso un’infinita possibilità di giudizi e opinioni da una moltitudine di persone che con le loro diverse personalità e competenze sono diventati i veri Critici (d’arte in questo caso) che sì, può elevare al massimo splendore e notorietà (molto spesso immeritatamente) un’opera piuttosto che un’artista ma d’altro canto ha il potere di confinarlo nel più profondo oblio nel quale neanche il rispetto per l’altrui individualità trova spazio.

Perciò se ad oggi un mio lavoro riesce a trasmettere emozioni e questo viene riconosciuto (che per quanto si possa fare il Bohemien, il quale crea solo per l’arte in sé,il riconoscimento del propriolavoroè sempre un fattore stimolante…) è per me una vittoria.

Qualsiasi frutto della propria arte non può essere generato seguendo un qualche regime “politically correct”; l’arte, quella vera, è sempre frutto dello svisceramento dell’artista. Inevitabilmente è da un frammento della vita dell’artista che prende vita il gesto artistico, altrimenti non si dovrebbe chiamare Arte. Infine, dato che l’esperienza che ognuno fa della propria vita é soggettiva e non produrrà mai effettiproporzionali agli eventi, un gesto artistico che seguirà queste “regole” regalerà sempre emozioni agli spettatori, che oltre tutto hanno un ruolo attivo alla realizzazione dell’opera d’arte stessaperché un quadro, una fotografia,una scultura ecc… vivono quando vengono osservati, una volta che nessuno li guarda, muoiono.

Chiudo con una citazione del fotografo nostrano Settimio Benedusi: “Una buona fotografia non deve essere essenzialmente bella. Una buona fotografia deve essere potente e spingere le persone a pensare! ”

 

Alla nostra collettiva esponi due opere intitolate rispettivamente “In bloom” e “Frida”.. spiegaci meglio come sono nati questi scatti?

 

“In Bloom” fa parte di una serie più ampia intitolata “Afterbirth” che è nata nel periodo più difficile della mia vita fino ad ora ed è la mia personale indagine sul rapporto Corpo-Mente-Spirito: Come un spio dal buco della mia serratura per conoscere e accettare senza giudizi, la mia concezione di Umanità.

“Frida” è la seconda parte dell’omonimo trittico il quale simboleggia il superamento della corporeità, rappresentato volutamente da una donna con un corpo fuori dai canoni del “nudo artistico”, per il sorgere dell’anima.

Le due immagini sono strettamente correlate dal movimento a spirale dei corpi, che conferisce una grande energia e dinamicità: In “In Bloom”, ci troviamo in una condizione quasi larvale come in una crisalide immaginaria e il contorcersi del corpo testimonia una formazione dell’individuo ancora non ben definita. Ma è la luce a suggerire quello che sta accadendo, ovvero il sorgere dallo stato di torpore, come se una fessura nella parte apicale della crisalide, permettesse l’entrata di un sole anch’esso immaginario.

In “Frida” ci si trova nel momento successivo allo schiudersi della crisalide immaginaria: il movimento a spirale si estende a cono dal basso verso l’alto. Anche qui è la luce che ci racconta quello che avviene: il soggetto in basso è quasi sottoesposto alla luce proprio per marcare, ancora per poco, la sua fisicità e , man mano che si dispiega verso l’alto, la sua progressiva sovraesposizione alla luce, porta al diradamento dei confini del corpo e all’esaltazione della mente simboleggiato dal viso in estasi come in un totale abbandono alla nuova vita.

 

Che messaggio vorresti pervenisse agli spettatori alla vista delle tue opere?

 

Mi piacerebbe che lo spazio dedicato alla risposta di questa domanda venisse riempito da ognuno che vedrà i miei lavori, credo sia molto più interessante.

 

Hai particolari progetti per il tuo futuro?

 

Al momento sto lavorando ad una nuova serie intitolata “” nella quale mi avventuro nelle reazioni dei miei soggetti (aggiungo perché credo sia importante, che tutti i miei soggetti in queste tipologie di foto, sono parenti e amici, persone di cui conosco e posso raccontare la storia), alla cecità procuratagli attraverso stupende maschere in cuoio realizzate dall’artista romano Luigi Nanni. Sono convinto che così come sospendendo il giudizio nell’ husserliana si giunge a cogliere la “cosa” in sé, allo stesso modo attraverso le maschere cerco di ricreare una sorta di in cui la sospensione dell’identità del soggetto dona il privilegio di poter entrare in una sfera più profonda della loro, e quindi della mia, umanità.

 

Grazie Giulio per le tue risposte e per la tua arte…le tue opere ci consentono di fare un viaggio più profondo dentro noi stessi, cercando di recuperare quegli stralci di umanità che il viver quotidiano ci porta troppo spesso a perdere di vista…tra la luce e il buio proviamo a ritrovare la nostra essenza, e per ritrovare quella luce, passare dall’oscurità diventa necessario…

 

Ass. Kouros Lucca

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